Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro si perfeziona attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione o l’impiego di manodopera. Ai fini dell’ individuazione del momento perfezionativo, dunque, non può aversi riguardo al solo dato dell’insorgenza del rapporto di lavoro (Corte di Cassazione, Sentenza 24 giugno 2022, n. 24388). La vicenda Il Tribunale del riesame aveva confermato il decreto con cui il G.I.P. aveva disposto un sequestro preventivo a carico del legale rappresentante e dell’amministratore di fatto di una S.n.c., gravemente indiziati del reato di sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.). Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione la legale rappresentante, datrice di lavoro delle dipendenti in danno delle quali era ipotizzato il reato di sfruttamento. La predetta fattispecie, ad avviso della datrice, si era perfezionata con l’assunzione del lavoratore, assunzione avvenuta, prima dell’ introduzione della norma incriminatrice. La Cassazione sul punto La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, evidenziando che la norma richiamata prevede che il reato di sfruttamento del lavoro si perfezioni attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione o l’impiego di manodopera. Ai fini della individuazione del momento perfezionativo del reato, non si può, di conseguenza, avere riguardo al solo dato dell’insorgenza del rapporto di lavoro. Con specifico riguardo al requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, infine, la Suprema Corte ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.
Quest’ultima, in particolare, lamentava che la fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 603-bis cod. pen. non potesse applicarsi al caso di specie, trattandosi di rapporti di lavoro iniziati in epoca antecedente alla riforma del 2016, con la quale è stata estesa anche al datore di lavoro la responsabilità per il reclutamento illecito.
La lesione del bene giuridico tutelato dalla norma permane, difatti, finchè perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento; da tanto consegue che, a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del 2016, il datore di lavoro che assuma, impieghi o utilizzi manodopera nella ricorrenza dei presupposti indicati dalla stessa norma, è responsabile del reato di sfruttamento di manodopera.
Tale condizione è risultata ricorrere nel caso in questione, essendo stato provato come le lavoratrici si siano viste costrette ad accettare le condizioni imposte per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo, nel contesto in cui è maturata la vicenda, possibili reali alternative di lavoro.